Non è una novità, tantomeno un tema bollente: se sei solit* accendere la televisione o navigare sul web di tanto in tanto, ti sarai res* conto che sostenibilità, impegno sociale e attivismo sono tra gli argomenti più gettonati.
Oggi voglio parlarti di un trend che, se hai un’attività (piccola, media o grande che sia) non devi as-so-lu-ta-men-te sottovalutare.
Brand Activism e Civic Brand: se non sai cosa siano, c’è Star BRAND ad aiutarti…
Cominciamo!
Civic Brand e Brand Activism: di cosa stiamo parlando
Si tratta di concetti simili, ma non uguali: si parla di Civic Brand per sottolineare la funzione civica che un Brand esercita, mentre per Brand Activism si intende la tendenza di alcune marche a prendere posizione nei confronti di temi politici, etici o sociali particolarmente rilevanti e attuali.
Già da diversi anni si discute del ruolo dei Brand all’interno della società, in termini di impegno per la sua progressione in ogni forma. Volendo individuare un momento storico che ha acceso i riflettori sui Brand e sull’impatto delle loro azioni in merito, beh… non dobbiamo andare troppo indietro nel tempo.
Te la ricordi la pandemia di Covid-19?
L’attenzione era proprio rivolta alle azioni dei Brand e a come potessero generare cambiamenti effettivi nei diversi ambiti (gender equality, diversità, inclusività). Ecco allora che i Civic Brand e il Brand Activism possono essere la risposta giusta a ciò che chiedono i consumatori oggi: verità e trasparenza aziendale.
Civic Brand e Brand Activism: i vantaggi
Certo è che mostrarsi Brand “civici” e attivisti porti con sé diversi vantaggi.
La partecipazione e il contributo dei Brand in campi “green” vengono apprezzati da chi acquista, portando risultati positivi sia in termini di fidelizzazione di clienti già acquisiti, sia in termini di trasformazione di quelli potenziali. Allo stesso tempo, statistiche confermano che la tendenza è quella di sentirsi anche più propensi a scegliere aziende coinvolte in cause civiche.
Come lo so? Beh… da brava supereroina, posso dire di avere i miei informatori personali, come l’Osservatorio Civic Brands. Continua a leggere: ti spiego tutto nel dettaglio!
Osservatorio Civic Brands
Si tratta di un nuovo progetto sull’impatto sociale dei Brand italiani, nato poco dopo il lockdown: l’obiettivo è diventare un punto di riferimento per comprensione, studio e monitoraggio dei comportamenti del consumatore nei confronti dei Brand e del loro attivismo sociale.
Dal lockdown proliferano come funghi i Brand che, spesso e apparentemente, abbracciano tematiche calde come la sostenibilità a cuor leggero e soprattutto esclusivamente per mostrarsi “buoni” e socialmente attivi. Ma quanti di loro “fanno le cose sul serio”? È proprio questa la domanda alla quale l’Osservatorio Civic Brands intende rispondere.
Dunque attento, imprenditore, perché la regola numero uno è non fregare il consumatore, ma raccontarsi in maniera credibile, trasparente e veritiera attorno ai propri valori aziendali. Il greenwashing – e questo è il mio consiglio da Star BRAND – lascialo a qualcun altro ;-)
Civic Brand e Brand Activism: cosa pensano i consumatori di oggi
Le indagini pubblicate dall’Osservatorio Civic Brands riguardano diritti civili, razzismo, parità di genere, benessere sul luogo di lavoro e ambiente. I risultati ci permettono di delineare un panorama di opinioni utile agli imprenditori di oggi nella definizione delle strategie di marketing. Seguire i trend (e farlo onestamente bene) può modificare la percezione che il cliente ha di una certa azienda.
Ecco i risultati italiani da prendere in considerazione:
- Le persone favorevoli alla presa di posizione aziendale riguardo temi di rilevanza sociale sono oltre il 65%;
- Il 40% partecipa attivamente alle cause combattute dai propri Love Brand;
- La ripetizione degli stessi concetti e linguaggi “melassa” ora infastidiscono il consumatore perché troppo calcati nel periodo di emergenza sanitaria. Cercano concretezza e comunicazioni “normali”, senza quei banali sentimentalismi che, all’orecchio di molti, pare solo fuffa;
- Il 43% ha smesso di comprare da aziende perché deluso dal loro comportamento civico;
- Il 67% dice di non essere in grado di comprendere se un Brand è davvero socialmente responsabile;
- Il 39% è convinto che sia compito dei Brand incentivare comportamenti responsabili;
- L’84% dei partecipanti afferma che i Brand dovrebbero ascoltare e farsi aiutare dai clienti nella scelta delle cause da supportare;
- 1 persona su 2 è attenta all’impegno civico dei Brand e chiede che questo attivismo si traduca in un supporto tangibile al consumo: parliamo, ad esempio, di frenare il continuo aumento di prezzi.
Insomma, una ricerca davvero importante che vuole colmare le lacune relative al “say-do gap”, il divario fra quanto le aziende dicono di voler fare per la società e quanto, effettivamente, fanno.
Esempi calzanti
Chi esce dalla mischia e prende posizioni nette è percepito come più credibile e apprezzabile. È il caso di Nike, che nel 2018 scelse il quarterback Colin Kaepernick come testimonial, al centro delle polemiche per la protesta antirazziale. Ma anche di Diesel, che twittò ringraziamenti ai follower che avevano partecipato al Gay Pride. Senza dimenticarci di tutti quei Brand (Netflix, Adidas, Apple…) che hanno sostenuto la campagna “Black Lives Matter” dopo l’omicidio di George Floyd. In patria abbiamo invece Lavazza, che uscì con la campagna “Good Morning Humanity” citando Chaplin per veicolare messaggi di inclusività e fratellanza.
In conclusione
Ho aspettato la fine di questo articolo per svelarti il dato che personalmente trovo più interessante, per lanciare una provocazione o regalarti uno spunto di riflessione.
Il 70% dei consumatori non ricorda nemmeno un Brand che abbia realizzato campagne di comunicazione legate al periodo pandemico, il ché ci fa pensare che vengano sì apprezzatì, ma senza benefici in termini di notorietà.
È qui, allora, che i duri cominciano a giocare? Perché essere Brand civici o fare Brand Activism se poi nessuno si ricorda di te?
Una cosa è certa: oggi i consumatori richiedono alle aziende un impegno continuativo, e la sfida è quella di colmare il say-do gap. In più, prendere una posizione oggi non è una necessità, bensì un’urgenza.
Chissà: sarà un vero banco di prova del loro impegno.